La vita possibile, la recensione del film e incontro con Margherita Buy

 In IL SETACCIO

I film italiani spesso non ci piacciono, così come non ci piacciono molti dischi italiani. Non siamo esterofili, siamo oggettivi. Però a volte, dobbiamo pur ammetterlo, siamo un po’ prevenuti.
Il film di Ivan De Matteo dal titolo “La vita possibile”, per esempio, che siamo andati a vedere per voi in anteprima, -e che è già nelle sale- vale la pena di essere visto, pur essendo italiano. È un film rivolto soprattutto alle donne, che tratta un tema molto attuale e purtroppo all’ordine del giorno, la violenza sulle donne, anche se De Matteo lo considera in parte un romanzo di formazione sulla crescita del bambino che è costretto a subire inerme la violenza sulla madre.
È un film fatto bene, credibile, cosa per niente banale, e con attori bravi.

Il cambiamento è sempre difficile, è un salto nel vuoto, verso l’ignoto, e a volte è più facile rimanere in condizioni avverse piuttosto che compiere quel salto che non si sa dove porterà. Valeria Golino è un’amica un po’ matta, un po’ infantile, che non ha famiglia; un’attrice di teatro, ma è senza ombra di dubbio una migliore amica, un’amica vera. Margherita Buy è una donna fragile che vive in funzione del figlio, che riesce ad andare avanti grazie a lui. In occasione della proiezione abbiamo anche avuto il privilegio d’incontrare sia De Matteo sia Margherita Buy. Abbiamo chiesto alla Buy se senza un figlio tutto sarebbe stato più difficile, e Margherita, da madre e da donna, ci ha risposto che sì, senza un figlio andare avanti e affrontare tutto sarebbe stato molto più difficile. Un figlio può diventare una ragione di vita, un motivo in più per amare se stessi, per lottare. Il suo personaggio ha una vita più normale e più borghese rispetto a quello della Golino. Le due amiche sono molte diverse ma solidali.

Al regista, invece, abbiamo chiesto il perché di un lieto fine, e lui ci ha risposto che il suo non lo considera un lieto fine, che lui ama i finali aperti, che anche questo, in fondo, è un finale che non fa finire un bel niente, che lascia ben sperare, ma che in realtà lascia presupporre che tutto può ancora succedere. Potrebbe essere lo spin-off per un altro film. Perché quando una donna fugge da un uomo che la picchia e trova rifugio in un’altra città a casa di un’amica, non è mica detto che ce l’abbia fatta. Non è mica detto che quell’uomo la lascerà in pace. La realtà, spesso, è un’altra cosa rispetto alla finzione, ma il film lascia sperare in una vita possibile, appunto, in una vita migliore, diversa, nonostante tutte le difficoltà che l’attrice e suo figlio, -interpretato da un bravissimo Andrea Pittorino- dovranno affrontare. De Matteo non ha voluto cedere al male, alle questioni solo ed esclusivamente negative, perché secondo lui ci si sta abituando al macabro, alle scene di violenza, dure e crude, e a lui questa cosa non piace, gli mette paura la virtualizzazione del dolore. Secondo De Matteo è sempre più diffusa un’abitudine al male. E allora, diciamo noi, forse non è più il caso di parlare di banalità del male ma di assuefazione alla violenza, perché se non c’è violenza, tutto quello che ci circonda sembra non essere interessante.

De Matteo voleva fare film sul sentimento, intriso di emozione, e ci è riuscito. Lo hanno molto colpito le storie, i racconti che ha dovuto ascoltare per poter scrivere e dirigere un film realistico come questo. Sono molte le donne che subiscono violenza, troppe, e De Matteo le ha ascoltate, le ha confortate, ha dato loro voce. E oltre al dolore, alla violenza, nel film è ben chiaro anche il senso di colpa della madre per aver sposato un mostro e per aver fatto soffrire tutti, se stessa ma soprattutto suo figlio, costretto a sopportare senza poter fare niente.
Non è un film leggero, non è un film per chi vuole passare una serata in allegria. La “Vita possibile” commuove, è toccante, fa riflettere su se stessi e sul mondo che ci circonda.

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