Pj Harvey, quando arriva il momento di rinnegare il passato

 In IL SETACCIO

Il live ci è piaciuto, e pure tanto. Questa donna, che sembra ringiovanire invece d’invecchiare, ha una voce che dal vivo non ci aspettavamo. Con nove musicisti sul palco, poi, tra cui pure John Parish e il nostrano Enrico Gabrielli, non poteva andare certo male.
Polly è salita sul palco alle dieci, e alle ventitré e quindici aveva già finito di incantarci, compreso il bis, durante il quale ci ha concesso “Near The Memorials To Vietnam And Lincoln” e “Last Living rose”. Una delusione. Ne avremmo voluto ancora, tutto qui (visto anche il costo del biglietto, quasi cinquanta euro!). Non ci sono bastati, soprattutto, solo tre pezzi storici di Pj, tra cui “50ft Queenie”, “Down by the Water”, “To Bring You My Love”, canzoni che ci hanno riesumato pure la sbornia dei quindici anni. Un vero spettacolo. Pj è semplicemente divina, una figa, bravissima. La sua voce è perfetta, sublime. “50ft Queenie” ne è uscita in una versione migliore che su disco, non c’è che dire.

Eppure ce ne siamo andati con l’amaro in bocca. È che non ci piacciono i musicisti snob, non ci sono mai piaciuti le persone e i personaggi che rinnegano il passato, perché suonare tutte le undici canzoni dell’ultimo album “The Hope Six Demolition Project” non fa di te un’artista migliore. Non è che se suoni l’ultimo disco venderai di più. Non è che non imbracciare più la chitarra ci farà dimenticare che cantavi “Leccami le gambe”. Non ci farà dimenticare che eri una rocker e andavi in giro mezza nuda (e meno male che durante quest’ultimo concerto hai indossato almeno una minigonna di pelle nera). Non è che non ti si riconosca più, cara Pj, è che sembri la classica che adesso vuole essere solo un’artista impegnata che canta dei diritti umani, dei bambini che soffrono e affrontano la guerra ogni giorno. Nulla di male, ma almeno, ai concerti, dona qualche pezzo vecchio in più, non è che il pubblico che ti conosce e segue da meno tempo ti schiferebbe. Anche se devo dire che mentre cantavamo “To bring you my love”, qualche ragazza per bene con gli occhialetti da vista ci ha guardato un po’ male. Loro cantavano le canzoni del disco nuovo, non quelle vecchie. Sarà questo, sarà che noi siamo rimasti noi stessi pur crescendo, e tu invece sei cambiata molto e hai conquistato un pubblico più composto, più intellettuale. Sarà colpa nostra, sarà che noi, pur non bevendo neanche più, siamo rimasti con il cuore che pulsa per il rock.
Nella recensione del live di Rockol abbiamo letto che tu di concedere del rock non ne hai più bisogno. Perché? Che senso ha? Quando si cresce non si può più essere rock altrimenti risulti ridicolo? Rischi di sembrare una che non si è evoluta?

“The Hope Six Demolition Project” non è un bel disco dall’inizio alla fine, ammettiamolo. Non riesci più a fare i dischi di una volta. Quel momento di grande ispirazione, intenso, forte, è passato anche per te, questa è la verità. Non li riesci più a fare da un pezzo dischi come “Is This Desire?” o “To bring you my love”, appunto, inutile che ce la raccontiamo. Non sei più un mito come negli anni ’90, non sei più la grande Pj Harvey, sei una cantante che fa tutto esaurito all’Alcatraz perché vivi di rendita. Se non fosse per i dischi del passato, in pochi verrebbero a vederti, oggi.
Questo non toglie che tu sia rimasta una cantante d’incredibile talento. Avete spaccato su quel palco, per carità, ma i tempi gloriosi sono finiti.
C’è sempre bisogno di rock, c’è sempre bisogno di passione. C’è sempre bisogno di riascoltare brani come “Angelene” o “C’mon Billy”. Fare qualche pezzo vecchio in più dal vivo non ti toglierebbe stima, non ti renderebbe meno seria e impegnata.
È che succede, lo sappiamo. Passano gli anni, cambiano i gusti, e spesso non ci si riconosce più sotto molti aspetti. Certe canzoni non ti rappresentano più, non hai più piacere di farle dal vivo, tutto qui. Come biasimarti? È colpa nostra, forse. Siamo dei nostalgici, siamo invecchiati male, mica come te.
Be’, il concerto è stato bellissimo, non preoccuparti, anche se una volta tornati a casa ci siamo riascoltati “A Perfect Day Elise”, e non certo “Chain of Keys”.

 

Scaletta:

Chain of Keys
The Ministry of Defence
The Community of Hope
The Orange Monkey
A Line in the Sand
Let England Shake
The Words That Maketh Murder
The Glorious Land
Medicinals
When Under Ether
Dollar, Dollar
The Devil
The Wheel
The Ministry of Social Affairs
50ft Queenie
Down by the Water
To Bring You My Love
River Anacostia

Bis:
Near The Memorials To Vietnam And Lincoln
Last Living rose

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