Jesus Christ Superstar, o meglio, la rockstar
Chi avrebbe mai pensato di uscire dal Teatro Nuovo ancora più innamorata di prima di Jesus. No, non di quel Gesù, ma di Jesus Christ la superstar, la rockstar. E chi avrebbe mai pensato di emozionarsi così, di godere così, di piangere così, di gridare: “Rock and roll!” durante i saluti, con quelle corna in alto al cielo, neanche fossimo a vedere i Metallica, con i Farisei sul palco che ti guardano fieri, anche loro con le corna in aria. E alla fine uno dei due che fa? Prende la chitarra elettrica in mano, mentre tutti ancora s’inchinano e ringraziano, e si mette a fare il vero metallaro, suonando, leccando il manico e, una volta terminato, se la sfila e fa il gesto di distruggerla per terra (ma non lo ha fatto, no, tranquilli, non siamo mica al live dei Nirvana!).
Siamo usciti e sì, abbiamo avuto la conferma che questo musical è il musical per eccellenza. Sarà che la storia è molto bella (sai com’è), sarà che la musica è strepitosa… Non c’è una canzone che sia una, che non si può dire travolgente. Jesus ti fa ballare, ti fa commuovere. Ce n’è per tutti i gusti, tanto che negli anni ’70, così come oggi, il pubblico era davvero vario. Ci trovi la signora per bene e il metallaro con la maglietta degli Iron Maiden. Il signore con l’abito e il ragazzo con i dreadlocks. Gesù mette d’accordo davvero tutti.
Ma la vera scoperta è stata Ted Neeley. Avevamo un po’ paura, a dire la verità. Avrà ancora quella voce? Arriverà a fare quegli acuti da brivido? Be’, sì. A 71 anni suonati, Ted, anche se invecchiato, ha una voce che spacca i vetri. Il suo momento di gloria? Quando il palco era tutto per lui, quando durante la scena nell’orto Getsemani, Jesus o Ted, chiamatelo come vi pare, canta quel pezzo da fremito, bellissimo, “Gethsemane/I Only Want To Say”. Ci ha fatto commuovere, ci ha fatto urlare dall’entusiasmo, ci ha fatto applaudire e alzare in piedi, tanto che Ted ha dovuto aspettare qualche minuto prima di continuare il brano dopo l’acuto.
Ma per una star come lui come deve essere, a distanza di quarant’anni, trovarsi lì, ancora a cantare le stesse cose, a interpretare quel personaggio che gli ha dato il successo ma che l’ha anche incastrato in qualche modo? Be’, per molti è deprimente, come l’ultimo film di Inarritu insegna. Ted Neeley è un po’ Birdman, ma quando la gente si entusiasma ancora così, ti applaude e osanna in quel modo, neanche fossi il vero Gesù, non credo che sia così triste. Ted ha capito questa cosa ed è tornato con umiltà e fierezza a interpretare quel ruolo tanto bello e importante. E chi ne se frega se nella sua carriera non ha fatto molto altro. Quest’uomo verrà ricordato per sempre, un po’ come Gesù, in fondo. Sentivo dire che il pubblico, quando lo incontra, gli chiede quasi la benedizione, gli tocca le mani, quasi si confessa. Ted sarà immortale. Tutte le generazioni a venire sapranno chi è Ted Neely, come tutti sanno chi è Gesù.
Ad ogni modo, lo spettacolo ce l’aspettavamo un po’ più maestoso. Sul palco, invece, solo la band da un lato, su una pedana girevole, e una scalinata dall’altro. Dietro, schermi al led e la croce. Sulla pedana anche tre colonne (sempre con schermi al led), usate per le parti “cattive” della storia. Quella pedana, infatti, è stata calcata dai due farisei, da Pilato, tutti bravissimi, ma soprattutto i farisei, con voci che non hanno fatto rimpiangere gli originali del film. Così come Maddalena, una voce incantevole. E Giuda? Con tutta sincerità, Carl Anderson ci manca molto. Nessuno canterà mai le sue parti come le cantava lui, come la nostra preferita “Heaven On Their Minds”. Oppure si potrebbe pensare di scegliere qualcuno di molto, ma molto più bravo del ragazzo che lo rappresenta nello spettacolo. È stato bravo, per carità, ma non all’altezza del grande Carl. Rest in peace.
La regia di Massimo Romeo Piparo non ci ha convinto soltanto su un paio di passaggi in cui c’è stata una caduta di stile in pieno provincialismo italiano. Era necessario, durante le frustate a Jesus, mentre Pilato canta e lo condanna a morte, proiettare immagini sugli schermi al led con la bandiera della pace, le torri gemelle, bambini africani denutriti e chi più ne ha più ne metta? È stato abbastanza squallido e qualunquista. Ma ancora peggio è stato il balletto di Erode. L’attore che cantava il brano era molto bravo, ma è stato davvero penalizzato dal teatrino che il regista gli ha montato intorno. Che ci facevano sul palco Pinocchio e due scolari delle elementari, Pulcinella e Arlecchino? Sul serio? Nel film, come tutti ricordano, Erode è circondato da gay, da transessuali, prostitute… non è che per caso, nel 2015, non è politically correct far vedere un re ciccione e viscido circondato da omosessuali? Siamo già arrivati a questi livelli di censura? Oppure per il regista è peggio vedere un orribile re circondato da personaggi italiani della nostra cultura piuttosto che da trans come nel film? Questa parte dello spettacolo è stata davvero triste, ci guardavamo intorno allibiti, non ci potevamo credere che stesse succedendo sul serio. Cosa c’entrava quella gente lì sopra!
Ma insomma, vale la pena o no vedere Jesus Christ Superstar per l’ennesima volta a Milano? Sì, senza dubbio. Perché le emozioni sono state forti e a Tim Rice e Andrew Lloyd Webber andrebbe fatto un monumento, e pure a mio padre, che me l’ha fatto conoscere e me lo cantava tutto a memoria quando ero piccola.
E ora scusate, ma abbiamo da fare, dobbiamo andare a riguardarci il film.