Joker, la recensione “Joker è un grido, Joker è un Che Guevara psicotico, Joker ci ricorda che siamo tutti responsabili, Joker è già storia del cinema”

 In IL SETACCIO

È già un cult.
Il regista Todd Phillips ha descritto la follia e il disagio come pochi altri hanno saputo fare. Eppure, il titolo di un articolo del Secolo XIX del 6 ottobre è: “Non parlate bene di Joker perché Joker è il male”. Non sto neanche a riportarvi l’articolo, andate a leggervelo, e scoprirete un bigottismo disarmante, un’incapacità di empatia da far accapponare la pelle. In poche parole: il timore che trapela da quelle righe è che ora orde di ragazzini comincino ad andare in giro vestiti da pagliaccio ammazzando tutti, giustificati dal povero e incompreso Arthur/Joker.
Ma il punto è proprio questo: come fai a non impazzire se in famiglia subisci violenza, se la società ti rigetta come un organo trapiantato, se nessuno è gentile con te, se nessuno ti ama, se tutti ti trattano male, se non hai mai ricevuto un abbraccio, un po’ di amore, un po’ di comprensione?
Joker rappresenta tutto quello che si rischia di diventare se i genitori hanno sbagliato e se la società non ti aiuta a curarti ed elaborare i tuoi traumi perché non hai soldi, perché magari oltre a essere stato abusato, sei pure povero, e lo Stato mica ti aiuta a risollevarti, mica ti passa lo psicologo o i farmaci gratis, no, ti rigetta, ti mastica e ti sputa, e poi s’incazza e ti rinchiude se non ti comporti come vogliono loro.

Joker è un film d’autore, il film che avrebbe dovuto fare Lars Von Trier al posto de La Casa di Jack. Perché è così che si parla di disagio, di follia, di alienazione. E sì, mi spiace per Heath Ledger, che c’è pure impazzito davvero per entrare nella parte di Joker, ma Phoneix è davvero monumentale, spaventosamente ed esageratamente bravo. L’Oscar sarebbe troppo poco. Questo è un film serio, non un fumetto, e non a caso ha già vinto il Leone d’oro a Venezia. Joker è solo un pretesto per trattare temi di cui si parla sempre meno, in una società sempre più individualista.
Joker siamo noi.
Joker non vuole cambiare il mondo, e quella che innesca a Gotham è una rivolta di cui è motore inconsapevole. Joker non è un film politico, anche se alcuni l’hanno voluto leggere così. Joker vorrebbe solo liberarsi dal dolore che ha dovuto subire. È un antieroe, non un messia, ma il popolo ha bisogno di simboli, e si aggrappa a lui con la disperazione di chi non ha figure di riferimento. Joker è un Che Guevara psicotico. E allora va bene anche un assassino pur di cambiare le cose, pur di cambiare la propria condizione.
La follia ha sempre il suo fascino, come la morte, e questo è un film disturbante che conquisterà i giovani di tutto il mondo, è vero, perché parla soprattutto agli adolescenti e al loro malessere, e a chi è adulto ma non è morto dentro, inglobato da un sistema che ci vuole sempre sorridenti e mai depressi e incazzati. È un film che risveglia la coscienza a chi ne ha ancora una, a chi non è già in attesa di morire come fosse alla fermata del bus, a chi è stufo di abbassare sempre la testa e subire.
Questo Joker si trasforma in una specie di giustiziere che ricorda un po’ anche Il Corvo, un cult anche questo, ma pur sempre un film di serie B. Qui invece abbiamo a che fare con un film di serie A, che eleverà Joaquin Phoenix tra i miti del cinema senza neanche aver bisogno di morire, come invece è accaduto a Lee e a Ledger.
Joker è il moderno Arancia Meccanica e Qualcuno volò sul nido del cuculo, ma pure meglio, e il finale ricorda un po’ quello di Mommy di Xavier Dolan: ospedale psichiatrico, un corridoio, una camminata che porta lontano, ma una scelta conclusiva completamente diversa, e che ci ricorda solo qui che Joker nasce da un fumetto.

È così che si dovrebbe trattare il disagio psichico. È con compassione che bisognerebbe guardare l’altro, anche il matto, anche l’assassino. È prendere anche le parti di Caino. È essere sempre e comunque contro la pena di morte, perché dietro al condannato c’è una persona, e con essa la sua guerra con la vita, con i mostri, con la solitudine, con il sistema, con i genitori che se non ti stuprano e picchiano, ti trattano di merda.
E allora devi uccidere tua madre per provare a sopravvivere, noi metaforicamente, Joker veramente.
Questo film ha la capacità di farti provare empatia per Arthur, e all’inizio fa paura, perché tutti nascondiamo un lato d’ombra e siamo un po’ matti.
I nostri ragazzi possono diventare come lui se non vengono aiutati, amati e protetti. È questo che spaventa gli adulti, è questo che è difficile ammettere: ammettere le proprie colpe di adulti, di padri. Gli assassini, i killer, gli psicopatici, se non nascono con una patologia mentale, all’inizio sono bambini normali, che hanno solo bisogno di serenità, e se questa non gli viene data, rischiano di essere danneggiati psicologicamente, è un dato di fatto, è realtà, ma è più comodo fare gli struzzi e dare del pazzo a qualcuno senza conoscere la sua storia.
Quando poi Joker supera quel limite sottile tra follia e normalità, allora il ragazzo che vede il film può provare sgomento oppure rimanerne affascinato, ma l’adulto, se è un adulto risolto che si può davvero chiamare adulto, comincia a provare empatia e pietà per quest’uomo ignorato da tutti. E allora vorresti abbracciarlo, vorresti essere il suo psicologo, vorresti dargli amore e ascolto e provare a salvarlo, invece di insultarlo.
E la folla che lo acclama nel finale, è la società tutta che si rivolta al dolore, alla sottomissione, all’ingiustizia, all’indifferenza del mondo. È l’emblema dell’infelicità del presente, perché se ci guardassimo in profondità in massa, realizzeremmo quella rivolta che molti aspettano da tempo.
Sì, forse Joker è anche un film politico. E cazzo, vien da dire: possibile che si debbano usare sempre le maniere forti per farsi notare? E poi ci stupiamo se i ragazzi si drogano per attirare l’attenzione. Dovremmo ringraziarli se si accaniscono solo contro se stessi e non cominciano a dare fuoco a tutto. Perché è più conveniente che i nostri figli si suicidino piuttosto che diventino degli assassini, vero? E infatti Joker ha la stessa durezza psicologica di Requiem for a dream, un onesto e durissimo film sulla droga, che ti prende lo stomaco e te lo mangia crudo, altro che Trainspotting.
Perché se tra le mura domestiche non c’è armonia, e se fuori la società ti tratta come un topo di fogna, di cui peraltro Gotham è invasa fin dai primi fotogrammi, solo perché non ridi quando bisognerebbe ridere, il risultato è il ghigno e la perfidia di Joker, un puro trattato di psichiatria in pellicola, il manifesto del dolore di un uomo che voleva solo amore, che non ha più nulla da perdere, e che alla fine fa pure commuovere.
Joker fa male dentro perché ci ricorda che siamo in parte responsabili di ciò che sceglieranno i nostri figli e quindi degli adulti che diventeranno.
Joker è un monito, un grido d’aiuto inascoltato.
Joker non è il film dell’anno, è già storia del cinema.

 

Articolo tratto da Pangea

Joker è un grido, Joker è un Che Guevara psicotico, Joker ci ricorda che siamo tutti responsabili, Joker non è il film dell’anno, è già storia del cinema

Recommended Posts
Contact Us

We're not around right now. But you can send us an email and we'll get back to you, asap.