Soundgarden, la recensione del live

 In IL SETACCIO

Come diavolo iniziare a recensire un evento del genere senza essere banali, scontati e non troppo di parte? Primo: ci aspettavamo molte più di circa 5.000 persone ieri sera, 4 Giugno 2012, presso la Fiera di Milano Rho in occasione del concerto dei Soundgarden, riuniti in formazione originale dopo quindici anni esatti. Scusate se è poco. Si vede che molti non se la sono sentita di affrontare i ricordi, la paura di non trovarli in forma, di dover ripensare ai mitici anni ’90 con una lacrima sul viso. E forse 70 euro per il biglietto erano un po’ troppi nonostante i gruppi che hanno aperto il live di Cornell & company, tra cui The Afghan Whigs, Refused, The Gaslight Anthem, Triggerfinger. Noi siamo arrivati giusti in tempo per vedere i Refused, che dal vivo si sono rivelati più tosti di quanto pensassimo. Hanno aperto le danze con grinta da vendere.

Ore 21,40 circa. Chris sale sul palco di bianco vestito (stile gelataio) in splendida forma e ancora più affascinante e bello di quanto non fosse agli esordi. Dietro di lui gli invecchiati e incanutiti Kim Thayil, il mitico chitarrista, Matt Cameron, la macchian da guerra della batteria e il bassista Ben Sheperd, sempre “scazzatissimo”. Meno belli, ma di una bravura imbarazzante; forse poco uniti tra loro, ma ci ha fatto comunque venire la pelle d’oca vederli tutti insieme su quell’enorme palco dall’ottima acustica mentre suonavano brani come Spoonman, Gun, Rusty Cage, Jesus Christ Pose, Outshined, 4th of july, Fell on Black days, Blow Up The Outside World, solo per citarne alcuni. La storia della musica degli anni ’90 stava suonando davanti a noi, sotto una luna piena che ha affascinato anche lo stesso Cornell. Tutto perfetto. Con l’indimenticabile album “Superunknown” a farla da padrone. Perché il nuovo disco della band uscirà soltanto tra qualche mese. Non sono mancati anche altri brani come On The Upside, Burden In My Hand, Blow Up The Outside World e il singolo Live To Rise, composto per la colonna sonora di The Avengers del 2012.

E poi lei, Black Hole Sun, che non hanno riservato per il finale perché troppo carica di aspettative, e che ci ha fatto scendere quella famosa lacrima temuta da molti. Sarà stato anche a causa di un paio di birre di troppo, ma questo live ci ha fatto semplicemente emozionare come non succedeva da tempo. Anche se non indossiamo più le camicie di flanella. Anche se siamo grandi e maturi. Anche se ormai lavoriamo tutti. Anche se indossiamo degli occhiali da sole firmati che a quindici anni non ci saremmo mai sognati di comprare. Perché l’animo di una persona non cambia. E chi se ne frega se Cornell non ha esattamente la voce che aveva negli anni ’90. Ha ancora un’estensione vocale da far paura a nostro parere. Imprecisa in alcuni punti? Non ce ne siamo accorti, perché cantavamo a squarciagola ogni singola parola con il nostro inglese maccheronico. Siamo dei nostalgici del cazzo e crediamo che tutto quello che sia uscito a livello musicale nell’ultimo decennio non rimarrà scalfito nel cuore della gente come le canzoni di questi quattro uomini. Kurt è morto. Staley pure. I Pearl Jam per fortuna non si sono mai sciolti e meno male che c’è stata la reunion dei Soundgarden. Anzi, evviva le reunion (anche se Cornell deve aver optato per ciò dopo i suoi flop da solista) che danno un po’ di ossigeno alla gente disperatamente affamata di vera e buona musica che vaga alla ricerca di qualcosa di decente da ascoltare almeno a livello internazionale -velo pietoso sulla situazione musicale italiana. Ci è toccato guardare al passato per provare delle emozioni. Ancora una volta. In attesa di nuovi messia.

 

 

 

 

Foto di Sergione Infuso

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