Blonde poteva essere Joker, ma è soltanto un brutto film

 In IL SETACCIO

Ne parlano tutti. Forse è il film del momento. È Blonde, il presunto “biopic” su Marilyn Monroe, che sta facendo tanto discutere (visibile su Netflix).

Difficilmente un film divide così tanto. C’è chi lo sta odiando e chi lo sta amando. Io non l’ho né amato né odiato, mi ha semplicemente deluso. Blonde poteva essere un nuovo Joker, ma se cerchi soltanto di “Jokerizzare” Marilyn perché alla Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia nel 2019 Joker ha vinto ed è diventato un cult assoluto, allora no, non ci siamo.

Blonde vuole essere disturbante a tutti i costi ma non ci riesce, proprio perché si percepisce la forzatura. L’attrice, Ana de Armas, è bella e brava, ma non è Joaquin Phoenix.

Quasi tre ore di film dove fino a metà si aspetta che il film inizi. Si passa dal bianco e nero al colore e a tutto il campionario di formati di pellicola possibili senza un apparente motivo. Marilyn ha avuto un’infanzia straziante, e forse è stata proprio la sua ingenuità, purezza e intelligenza a permetterle di non farla finita ancora prima. E non stiamo a discutere sul fatto che sia stata uccisa o si sia suicidata, noi non lo sapremo mai.

Le scene più brutte sono quelle in cui Marilyn parla con un feto, il suo, anzi, i suoi tre feti, uccisi con intenzione oppure perduti. Immagini che ricordano il video Teardrop dei Massive Attack. Quando poi vedi quel feto che inizia a parlare con lei, ti viene quasi voglia di spegnere. Eppure vai avanti, perché vuoi vedere come finirà, anche se sai già come finirà. Vuoi vedere come si arriva all’eclissi, all’oblio. Vuoi vedere come ci arriva un regista come Andrew Dominik, che non è certo Bergman, eppure, non lo era nemmeno il regista di Joker, Todd Phillips, che aveva diretto Una notte da leoni.

E allora perché? Perché Blonde lascia a molti l’amaro in bocca? Perché l’unica parte decente del film (palesemente e volutamente inventata) è la storia a tre con Charles Chaplin Jr ed Eddy G. Robinson Jr? Quella parte sì che è conturbante, erotica, malata, sexy, affascinante, degna delle scene più perverse de Il Trono di Spade.

E poi Nick Cave che plagia Hildur Guðnadóttir, compositrice della colonna sonora di Joker, è un colpo basso. Tanto che durante certe parti del film mi sono chiesta se fosse stata proprio la Guðnadóttir a fare la colonna sonora. E invece no, ho scoperto che erano stati Warren Ellis e Nick Cave. E poi cosa scopro? Che Dominik è stato anche il regista del documentario su Cave ed Ellis, This Much I Know to Be True, che non si avvicina neanche lontanamente a quella perla rara d’irraggiungibile bellezza che è stato 20,000 Days on Earth, altro documentario su Nick Cave, del 2014, scritto e diretto da Iain Forsyth e Jane Pollard.

Blonde è un capolavoro mancato, un’accozzaglia di omaggi o rimandi voluti o non voluti a Luhrmann, Malick, Phillips. E soprattutto a Dolan. Ecco, Xavier Dolan. Blonde strizza l’occhio anche a Mommy, uno dei film più belli degli ultimi anni, che mi prese lo stomaco, me lo strappò via e me lo ridiede dopo settimane.

Marilyn, cresciuta senza un padre e con una madre malata di mente. Marilyn, che a quanto pare veniva usata da tutti per fare sesso, amata da nessuno, messa a novanta per fare film e messa in ginocchio per compiacere presidenti e non solo. Un inno al MeToo. Eppure, eppure Blonde per alcuni è risultato quasi un film sessista, visto e fatto con gli occhi di un uomo. Non c’è mai fierezza in una donna icona come Marilyn, non c’è mai un momento di consapevolezza, solo disordine e disonore. Ma non ci crediamo. Marilyn era Marilyn e non solo una tipa che veniva sbattuta qua e là senza nemmeno rendersene conto. È svilente per ogni donna immaginare una cosa simile, perché non è mai la sola e univoca realtà. Ecco cosa manca a questo film: la complessità. La complessità dell’animo umano, che già è complesso nelle anime semplici, figuriamoci in un corpo e in una mente come quella di Marilyn. E invece qui si viene trascinati da una scena all’altra senza lo straccio di una riflessione, di un’emozione. Ogni tanto senti solo lo stomaco che gorgoglia ma non capisci se è fame o dolore, perché subito dopo passa tutto. Non come Joker, che lascia dilaniati per giorni. Dov’è il disturbo? In un mezzo pompino che non si vede nemmeno? Marilyn era quasi una ninfomane? Allora che si provi a raggiungere la grandezza di un capolavoro lacerante come Nymphomaniac di Lars von Trier, tanto, in America, Blonde è già stato vietato ai minori di 17 anni. E per cosa? Per un po’ di sesso a tre, qualche tetta e un po’ di vomito e alcol? Forse per l’America puritana di oggi Marilyn è davvero vista come un Joker, come una rocker impazzita, e a suo modo lo era.

Il film non è un vero e proprio biopic, questo è il punto. La Marilyn di Blonde è in parte anche una Marilyn inventata e immaginata dalla penna di una scrittrice. Forse, per Dominik, seguire un copione, una storia già scritta (il film è tratto dal romanzo di Joyce Carol Oates), è stato limitante? Non ho letto il libro e non posso esprimermi su questo, ma quello che delude in Blonde, infatti, non è che Marilyn ne esca bene o male, che ancora oggi si giudichi una donna che scopa con chi le pare e piace e quanto le pare, che si giudichi una donna che abortisce o non vorrebbe abortire, che il film non sia abbastanza verosimile, no, il punto è che questo, semplicemente, è un film ispirato a Marilyn non molto riuscito, con una bella fotografia, ma che rimane sterile. Non fa commuovere, non fa piangere, non fa sentire. Non si sente altro che il tentativo di far sembrare la de Armas il più uguale possibile a Marilyn. E dispiace, dispiace molto, perché poteva essere davvero un grande film. Il materiale c’era tutto, c’era lei, c’era un romanzo, c’era una storia straziante, che però avrebbe dovuto farci stare male per giorni. Perché questo fa la grande arte e il grande cinema: dopo aver visto certi film, non si sarà più gli stessi.

 

 

 

Leggi l’articolo sulla rivista culturale Pangea.news

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