Afterhours e l’antologia per i 30 di carriera: l’incontro

 In IL SETACCIO

Io odio la musica italiana, tranne gli Afterhours. In passato ho ascoltato moltissimo anche i Verdena, ma dopo “Requiem” non sono più riuscita a seguirli. Poi i Marlene Kuntz, che però ho smesso di ascoltare dopo “Sonica”. Il resto della musica italiana è noia. Lo so, sembra esagerato, sarò un’esterofila, sono gusti, è soggettivo, ma non ci posso fare niente. Poi certo, c’è il cantautorato, c’è il pop, altri generi, ma qui stiamo parlando di rock.

Ah sì, poi c’era lei, Carmen Consoli, altra grande artista che sono andata a vedere più volte dal vivo perché è una gran rocker. E Agnelli, durante l’intervista, ha detto di averla scelta proprio perché il percorso della Consoli è stato parallelo a quello degli After, anche se musicalmente diverso. Anche lei faceva rock, anche lei apparteneva a quel periodo, anche se ha cominciato poco dopo gli After. Si conoscono da sempre e non era ancora mai capitato di fare qualcosa insieme. All’inizio l’idea era di far cantare “Bianca” a Daniele Silvestri, ma sarebbe stato strano e con lui avevano già collaborato.

Gli Afterhours sono uno dei pochi gruppi capaci di fare rock e di farlo bene, e per di più cantato in italiano, cosa assai difficile. Musicalmente spaccano, c’è poco da fare. E anzi, i brani dell’antologia cantati in inglese, li trovo di molto inferiori a quelli cantati in italiano.

Manuel Agnelli, negli anni ’90, era considerato un vero e proprio Dio, e non a caso fanno il pienone ai concerti ancora adesso.

Non ricordo neanche più quante volte li ho visti. Conservo ancora un plettro lanciato da Manuel durante il tour di “Piccole Iene”. E siccome siamo qui a scrivere di un’antologia e a rivangare nel passato, voglio ricordare il mio primo incontro con Agnelli.

Avevo vent’anni, non scrivevo ancora di musica. Ero al vecchio Rocket di Via Pezzotti, seduta al bancone con un amico. Saranno state le due del mattino, non ricordo, so solo che eravamo molto ubriachi. Mi giro, e di fianco a me vedo seduto Manuel Agnelli. Lo guardo, spalanco la bocca, e gli dico: “Oh cazzo! Ma tu sei Manuel Agnelli! Oh mio Dio!” Lui mi guarda, fa un finto sorriso, prende, si alza, e se ne va. Manuel non era certo famoso per la sua simpatia, anzi, si sapeva che era un arrogante spocchioso, ma non me ne fregava niente. Quella sera ero felicissima di averlo visto seduto di fianco a me, anche se probabilmente mi avrà odiato come non so cosa.

Poi quando ho cominciato a occuparmi di musica, mi è capitato di rivederlo, di salutarlo, ma sempre con educazione e senza urlargli addosso. Era di casa alla Casa 139, dove s’incontrava anche l’anima gentile Giorgio Prette; con Dario Ciffo si chiacchierava molto, così come con Roberto Dell’Era. Insomma, gli After sono gli After, e in Italia, soprattutto a Milano, non c’è nessuno come loro.

E noi abbiamo anche appoggiato la scelta di Manuel di partecipare a X Factor, perché quando uno ha dato così tanto alla musica e non ha certo nulla da dimostrare, è bene che quando arriva un’occasione del genere si colga al volo, perché gli Afterhours si meritano più fama, più stima, più successo ancora. E invece fino a prima di X Factor, Agnelli era uno del giro indipendente. Come ha detto lui stesso durante l’intervista:

“Sono arrivato in TV e mi sono accorto che nessuno sapeva chi fossi, si chiedevano se avessi riempito gli stadi oppure no. Il messaggio che arriva alle nuove band è quello di dover puntare al successo e basta. Noi, invece, ci aprivamo i club per fare musica, cultura; i giovani dovrebbero occupare dei posti pur di suonare, anche se non è legale, e trovarsi davanti cinque persone paganti! Noi i dischi ce li producevamo da soli e ce li scambiavamo. Se i giovani d’oggi non sono disposti a fare tutto questo e ambiscono solo a diventare famosi, allora devono cambiare mestiere.”

In quest’antologia ne mancano di brani all’appello, ma ce ne sono talmente tanti di belli che era impossibile farceli entrare tutti. Comunque tranquilli, “Dentro Marylin” c’è, e così “Strategie”, “Ossigeno”, “Male di miele”, e via dicendo. Nel libro cofanetto, che contiene ben quattro dischi, Manuel spiega che ha scelto i brani partendo dai singoli, scegliendo quelli che li rappresentavano di più, ma soprattutto ha scelto un indirizzo di scrittura oltre che di suono:

“Volevo che la raccolta fosse leggibile non solo per il nostro pubblico più affezionato, quindi nella scelta ho favorito l’aspetto comunicativo degli Afterhours rispetto a quello iconoclasta. Dei brani più datati ho scelto quelli che sento ancora vivi e significativi, quelli che mi piacerebbe cantare ancora oggi.”

E oggi cos’è rock per Manuel Agnelli? Ci risponde che non lo deve dire lui, non è il sottosegretario del partito del rock, non lo sa e non ha il diritto di definirlo. Di certo non era più rivoluzione già negli anni ’80, però era attitudine, provocazione, oggi non gli sembra che sia così. Oggi è rimasto il talento, quello sì, magari non c’è niente di nuovo ma a volte c’è anche contenuto.

Manuel, trent’anni fa, si sarebbe immaginato di trovarsi in Universal per portare i caffè, non certo di essere ancora qui oggi a fare musica. Però aveva le idee chiare: voleva vivere di musica oltre a vivere per la musica, e sì, se lo sono meritato, si sono fatti il culo, hanno lavorato tanto, ci credevano, e hanno avuto anche fortuna, ha detto anche questo.

Gli Afterhours non hanno mai avuto una battuta d’arresto, non si sono mai fermati, mai sciolti, nonostante qualche crisi, e oggi guardano al futuro con nuova enfasi, pensando già a nuovi progetti.

E cos’è per Manuel la Pura Gioia?

“È stato il cammino, la fortuna e la determinazione di aver passato 51 anni vissuti come volevo io. La musica che volevo l’avrei fatta comunque. Per me suonare è una necessità fisica, non dipende dai risultati. Sono riuscito a fare un percorso molto simile a me e voglio continuare a vivere in libertà, perché fare musica in libertà l’ho sempre fatto. Vivere in libertà, invece, comporta anche malessere, frustrazione. Ho dovuto fare molte rinunce proprio perché le cose che mi proponevano non mi appartenevano, e se penso ai soldi che ho perso… beh, è una bella cifra, e inizia a pesarmi. Però rispetto all’infelicità che vedo nei miei colleghi che riempiono gli stadi, non farei cambio, e questo lo dico da star della televisione, (ride, n.d.r.) non da tipo che suona in un localetto alle quattro del mattino, adesso lo posso dire, cazzo. Come dicevo, se riempi un club puoi criticare chi riempie un club, riempi un palazzetto, e puoi criticare chi riempie i palazzetti, e quando riempiremo San Siro criticheremo chi riempie San Siro. Sarà meraviglioso…”

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