La nascita del politicamente corretto

 In IL SETACCIO

Mi sono chiesta più volte da dove come e perché sia nata la cancel culture e il politicamente corretto. Poi, un bel giorno, ho letto Il declino della violenza, dello psicologo cognitivista Steven Pinker, e finalmente trovo la risposta. Questo saggio è impegnativo, ha quasi mille pagine, ma Pinker è riuscito a rendere divulgativa anche la storia dell’umanità.

Si comincia dagli inizi, da quando eravamo dei beceri primitivi che se ne andavano in giro con la clava; si attraversa ogni epoca, tra cui il Medioevo, dove pare che tagliassimo nasi a chi non ci era simpatico con la stessa facilità con cui oggi blocchiamo qualcuno sui social. Ne tagliavamo talmente tanti – e solo per una semplice litigata – che a un certo punto nacquero delle specie di cliniche che si occupavano proprio di questo, un po’ come oggi ci sono quelle per il botox. Abbiamo fatto dei passi da gigante, dobbiamo ammetterlo. Ci ammazzavamo per un nonnulla, ci vendicavamo, accoltellavamo, ci sfidavamo a duello, compivamo sacrifici, torturavamo la gente che neanche nei peggiori film horror. Uccidevamo per onore con la stessa facilità con cui ammazziamo le zanzare. Invece di guardare una serie su Netflix, ce ne stavamo in piazza ad assistere esaltati alle impiccagioni. Le donne erano oggetti da usare, stuprare e gettare, che dovevano stare zitte e mute e che servivano soltanto per svuotarsi. Pisciavamo, cagavamo, scoreggiavamo in pubblico, lasciavamo escrementi davanti alle porte o li gettavamo dalla finestra, facevamo sesso in ogni anfratto, in ogni momento, davanti agli occhi di tutti. Mangiavamo come bestie e il galateo è nato non solo per farci smettere di nutrirci come scrofe nel fango, ma soprattutto per non farci uccidere, per non esagerare; erano regole morali per insegnarci a stare al mondo in maniera civile, per passare da guerrieri a cortigiani. Ruttavamo, ci scaccolavamo, ci toccavamo le parti intime allegramente, continuamente e in pubblico. Picchiavamo, sculacciavamo, sfruttavamo i bambini e li ammazzavamo come mosche. Lungo le strade si trovavano a terra talmente tanti neonati abbandonati da non farci più caso. Se si avevano problemi economici, o semplicemente non si volevano figli, si buttavano via, senza pensarci due volte.

Come scriveva il medico Larry Milner:

“La risposta emersa dalla mia ricerca indica che una delle cose più «naturali» che un essere umano può fare, quando si trova in una varietà di situazioni logoranti, è uccidere volontariamente la propria prole”.

L’antropologo Edward Tylor scriveva:

“L’infanticidio nasce dalla durezza della vita piuttosto che dalla durezza del cuore”.

Da alcune ricerche è emerso che la depressione post partum che conosciamo oggi sembrerebbe manifestarsi nella donna non per disfunzioni ormonali ma perché in quel momento la neo madre sta decidendo inconsapevolmente se uccidere o tenere quel figlio. E abbiamo schiavizzato persone solo perché di pelle scura, e nella prima metà del ‘900 abbiamo ammazzato 6 milioni di ebrei in nome del nazismo solo perché ebrei, e fatto morire di fame 40 milioni di persone causando carestie in nome del comunismo (per la maggior parte da Mao e Stalin. E tra questi morti non ci sono i milioni uccisi perché la pensavano diversamente da questi due). D’altronde proprio Mao era uno che diceva:

“Abbiamo così tante persone. Possiamo permetterci di perderne qualcuna. Che differenza fa?”.

I regimi totalitari hanno ucciso svariati milioni di persone, di cui circa 95 dovuti ai regimi comunisti, 20 milioni all’olocausto nazista, 28 milioni ai regimi autoritari, autocrazie che tollerano istituzioni sociali indipendenti come imprese e chiese. 2 milioni li hanno fatti fuori i governi aperti, le democrazie, con le loro colonie, blocchi alimentari e bombardamenti durante le guerre mondiali. E tutto in nome dell’ideologia, una tra le maggiori cause di violenza, dove le persone sono convinte di avere ragione, sinceramente, e per questo compongono una narrazione e un database di fatti coerenti con la loro sincera convinzione. Neanche i liberi anni ‘60 ci hanno fatto bene. Perché quando inizi a dire: “Se ti fa sentire bene fallo”, ovvio che la violenza aumenta. E gli hippy saranno pur stati pacifici ma molti se ne sono approfittati.

Sì, siamo stati noi, noi esseri umani. Non qualche demone interiore, qualche Dio, qualche spirito che ci ha posseduto. Noi. E non siamo così diversi gli uni dagli altri. Pure Hitler era un uno di noi, uno come noi, un essere umano, che ci piaccia oppure no. E spesso è difficile accettare la nostra natura proprio per questo. Pinker ci ricorda chi siamo e da dove veniamo, ma con una marea di grafici e di prove ci fa anche notare che nei secoli la violenza è diminuita in maniera inaudita, tanto da decidere di scriverci un libro per cercare di capire come diavolo sia successo e perché. Ovviamente non starò qui a raccontarvi tutto il saggio ma pare che oltre alla scolarizzazione, alla razionalità, all’aumento del quoziente intellettivo, all’esercitare l’autocontrollo, alla diffusione dei libri che permise alle persone di empatizzare con il prossimo (l’empatia servì anche per migliorare i rapporti con i mercanti), alla nascita del commercio (perché a quel punto le persone servivano vive e non più morte), al matrimonio (che calmava gli animi inquieti degli uomini), all’arrivo dell’età della Ragione e dell’Illuminismo e all’arrivo di Cesare Beccaria con il suo Dei delitti e delle pene, alla nascita delle Nazioni Unite, alla democrazia, all’urbanizzazione, a pene severe, al dare valore alla vita e non più solo all’anima (la vita per secoli è stata considerata una cosa passeggera cui non dare nessun peso), uno dei motivi per cui abbiamo smesso di farci fuori a vicenda con tanta facilità sia stata proprio la nascita dei diritti dell’uomo e che il tanto odiato politicamente corretto sia il frutto di questo percorso.

I diritti civili hanno fatto il loro ingresso nel nostro mondo nella seconda metà del XX secolo, cioè l’altro ieri, e hanno avuto un picco proprio negli anni 2000. Parliamo di diritti delle donne, dei gay, dei bambini, degli animali e degli uomini in generale, che fino a pochi secoli prima erano non solo calpestati ma praticamente inesistenti. La Rivoluzione dei diritti permise di velocizzare il Processo di civilizzazione e per Pinker questa Rivoluzione si è talmente diffusa da aver preso il nome di “politicamente corretto”. Quando parliamo di maggiori diritti e di riconoscimento di donne, gay, trans, lesbiche, neri, animali, disabili, tutti, pariamo di progresso, parliamo di lotte fondamentali che ci hanno permesso di diventare esseri umani, di distinguerci sempre più dalle bestie. Dobbiamo e possiamo essere fieri di noi ma non è certo finita qui, non basta, c’è ancora tanto lavoro da fare in ambito di diritti. Il punto è non cadere nell’errore di far diventare questi diritti una scusa per imporre un pensiero unico, con il rischio di mettere in pericolo la libertà di tutti. L’equilibrio è sempre labile. Il rischio lo stiamo già vivendo sulla nostra pelle, con il bacio a Biancaneve definito molestia sessuale, con gente bannata e licenziata per aver espresso un’opinione, non un insulto ma un’opinione. Non è vero che “il politicamente corretto” non esiste, che è una paranoia della destra: è il frutto di battaglie giustissime per la difesa dei diritti dell’uomo che, però, in nome di un’ideologia, rischia di diventare liberticida. Un conto sono i sacrosanti diritti dell’uomo, un conto è la censura. Ed è giusto che cambi l’uso di certe parole, che vengano epurate immagini esplicitamente omofobe o razziste, siamo tutti d’accordo, ma, come scrive Pinker, non è possibile condannare uno studente dell’Università dell’Indiana perché legge un libro sulla sconfitta del Ku Klux Klan ma il benedetto libro ha in copertina l’immagine di un uomo del Klan. E lo sappiamo, per esempio, che non è vero che gli uomini commettono più violenze domestiche delle donne? Il sociologo Murray Straus ha dimostrato con le sue ricerche che le donne sono violente con i mariti e i compagni tanto quanto gli uomini lo sono con le proprie mogli e compagne. L’immagine di vecchi cartoni animati dove la moglie insegue il marito con il mattarello non deve far sorridere le femministe ma far indignare, perché se i diritti devono diventare uguali per tutti lo devono essere davvero. In America, poi, agli uomini viene già raccomandato di non entrare mai in un ascensore se c’è una donna sola: il rischio di essere denunciati per molestie pure se non si è fatto nulla è troppo alto.

Steven Pinker è un Democratico progressista che difende a spada tratta i diritti di tutti da sempre, è uno che non sopporta i nichilisti, i romantici, gli esistenzialisti, perché per lui questa gente ha fatto danni e ha contribuito nel continuare a trovare affascinante la guerra, la violenza, la morte. Eppure, anche Pinker si è ritrovato a essere vittima della “polizia del pensiero” nel 2016, per alcuni tweet in cui diceva, per esempio, che l’elevato numero di afroamericani ammazzati dalla polizia non dipende sempre da un pregiudizio dovuto alla razza, ma anche da come vengono formati questi poliziotti. Apriti cielo. Più di cinquecento colleghi accademici hanno subito richiesto di cancellarlo dalla lista dei “membri illustri” della Linguistic Society of America, proposta poi rifiutata. Nel 2020, sempre Steven Pinker, dopo l’abbattimento delle statue di Cristoforo Colombo e Abraham Lincoln, che tutti ricordiamo, è stato uno dei centocinquanta firmatari del manifesto contro la “cancel culture”, tra cui svettavano anche nomi come Noam Chomsky e JK Rowling – quest’ultima definita omofoba, transfoba, strega feminazi per varie questioni che non ho tempo di riportare. Anche qui da noi le cose sono complicate. È sempre più difficile esprimere un’opinione e non essere bannati, cancellati, censurati, multati, licenziati e via dicendo. I veri eroi sono coloro che continuano ad avere il coraggio di dire come la pensano e che non temono di veder rovinata la propria reputazione. Abbiamo visto cos’è accaduto a Trump, che piaccia o non piaccia per molti non è giusto che sia stato cancellato dai social; abbiamo visto pure cos’è successo durante la pandemia, dove bastava avere un’opinione non troppo catastrofica sul Covid per venire insultati ma, soprattutto, minacciati di morte e tacciati di “negazionismo” – che parola impropria e del cazzo.

E allora a breve arriveremo a censurare pure i dipinti che ritraggono immagini religiose? Perché, ragazzi, se vogliamo censurare seriamente, allora il primo libro da censurare sarebbe la Bibbia. Avete mai letto almeno il Deuteronomio? Ecco, leggetelo,e poi fatelo avere a qualche esponente della cancel culture e vedrete come sparirà presto pure la Cappella Sistina, altroché Omero! Dobbiamo capire che l’omologazione del pensiero equivale alla dittatura e al totalitarismo. Non siamo tutti uguali, non la pensiamo allo stesso modo, e il bello è questo. Per pensare tutti nello stesso modo dovremmo agire con la forza. Ci sarà sempre quello che è credente, quello ateo, quello di destra, di sinistra, il nichilista, il comunista, l’omofobo, il razzista, quello che continuerà a dire “frocio” e quello che mette quest* cos* ovunqu*. Gli psicologi dell’età evolutiva hanno dimostrato che i bambini in età prescolare manifestano atteggiamenti razzisti che farebbero inorridire i loro genitori progressisti, e che persino i bambini molto piccoli preferiscono interagire con persone della loro stessa razza e con il loro stesso accento, ma non perché sono brutti e cattivi ma perché si ipotizza che la motivazione stia nella “dominanza sociale”, nel “tribalismo”, il desiderio che i gruppi sociali siano organizzati in una gerarchia, dove il proprio gruppo deve dominare sull’altro per sopravvivere. Cosa da disimparare, certo, ma che deriva da secoli di divisioni, dove le persone non avevano modo d’incontrarsi con la stessa facilità di oggi, anzi, non s’incontravano proprio, e se lo facevano finivano per scannarsi per paura di perdere il dominio.

Non possiamo diventare come i talebani che abbattono le statue; ops, lo siamo già diventati. Non possiamo accettare questo. Bisogna arrivare a non lapidare e stigmatizzare nessuno, trovare il giusto equilibrio, il rispetto di tutti. Come donna ho più paura della sharia che di uno come Trump. Per fortuna è finita la pacchia di metterci al rogo e ficcarci qualcosa in bocca per farci stare zitte, ma è vero, non è ancora abbastanza. In certe parti del mondo troppe donne vengono ancora uccise solo perché osano scrivere o pensare. Ma non per questo dobbiamo colpevolizzare tutti gli uomini e considerarli tutti degli assassini. Dopo l’attacco al Campidoglio a Washington, ho sentito il Presidente della corte Costituzionale dire che molti qui hanno gridato allo scandalo, dimenticando che in America hanno la democrazia da due secoli e se la sono cavata più che bene. Noi facciamo tanto i fighi ma fino all’altro ieri avevamo il fascismo, il nazismo, il comunismo, il franchismo e via dicendo. Non abbiamo molto da insegnare all’America, ma il timore è che gli USA ora stiano “imparando” proprio da noi Europei, che siamo stati sempre così bravi a imporre pensiero e credenze. Gli indiani abbiamo cominciato ad ammazzarli noi, non “gli americani”.

Non si può azzerare e dimenticare la storia per ricostruire. Non si può non sapere da dove veniamo. Non si devono cancellare gli errori proprio per far sì che stiano lì da monito e che non si ripetano. Io non voglio che uno scrittore veda censurato il suo libro, neanche se nel suo libro il protagonista dovesse essere una trans che stupra bambini e solo di colore (storia interessante… quasi quasi ci penso). Io non voglio veder bruciare le opere d’arte che manco i nazisti. Non voglio i veli sui cazzi delle sculture. Non voglio un novello Braghettone. Non voglio che le donne mettano solo le Birkenstock per sembrare giuste, rispettabili, intelligenti e per non farsi fischiare dietro. Che poi, se uno mi fischia dietro lo ringrazio. Se mi insegue per violentarmi spero di avere le palle per ficcargli i pollici negli occhi stile Krav Maga e scappare. Se mi invia i cazzi su Facebook lo blocco. Se mi manda i fiori su Instagram dico che palle e lo ignoro o ringrazio ma se inizia a chiedermi “di dove sei cosa fai di bello” e tutte le mattine mi manda il buongiorno che manco mio marito, lo blocco, come sopra. E poi il razzismo al contrario anche no. Non è che ora la donna figa o magra si può condannare perché figa o magra e il bianco solo perché è bianco. La curvy va bene ma ci dimentichiamo che il sovrappeso e l’obesità sono un problema serio che grava sempre più sul sistema sanitario mondiale. Perché questo non si può dire? È body shaming? Allora direi che non ci siamo. Pure la maggior parte dei morti per Covid sono morti non solo perché anziani ma proprio perché con più patologie, sovrappeso, diabetici ecc.. Si è liberissimi di fumare, bere e mangiare quanto si vuole ma si deve pur ricordare che non fa bene, senza bisogno di insultare nessuno.

Pinker si chiede se questa degenerazione, se questi estremismi e ipocrisie del politicamente corretto, siano il prezzo da pagare, se valga la pena subire quest* cos* ch* infastidiscon* molt*. È vero che abbiamo raggiunto livelli senza precedenti di rispetto dei diritti, ma è pur vero che c’è ancora molto lavoro da fare, e stiamo vivendo una fase di transizione dove forse gli estremismi possono sembrare estremismi sul momento, a caldo, ma che alla lunga verranno digeriti, capiti e che si troverà un equilibrio, come in tutte le cose. Fino all’altro ieri lo stupro all’interno del matrimonio non era reato e l’omosessualità è legale solo in 120 paesi; in Africa, Caraibi, Oceania e nei paesi arabi è ancora punita dalla legge, addirittura in Sudan, Arabia Saudita, Mauritania, Iran, Nigeria ecc. è punita con la morte. Solo negli anni ’70 e ’90 esplose il movimento per i diritti degli omosessuali. E anche i bambini fino alla metà dell’800 venivano picchiati, usati, frustrati, schiavizzati e il primo caso di maltrattamento a un bambino fu denunciato proprio nel 1874 a una società per la protezione degli animali, perché mica c’erano quelle per i bambini. In Cina, addirittura, per chi non voleva figlie femmine, veniva messo di fianco al letto un secchio d’acqua per annegarle subito. In India alle neonate venivano date da inghiottire pillole di tabacco, venivano annegate nel latte oppure era normale spalmare il capezzolo per allattarle con l’oppio o del veleno o riempire la bocca delle piccole con un impasto di sterco di mucca prima che iniziassero a respirare. Oggi, invece, per fortuna in 24 paesi è addirittura vietato dalla legge sculacciare i bambini, perché può avere effetti collaterali nocivi, tra cui aggressività, delinquenza, deficit di empatia e depressione. Ma come sempre si è passati da un eccesso all’altro, dalla salvaguardia di bambini indifesi e uccisi ingiustamente a milioni, si è passati a folli esagerazioni, come quella del 2009 a Chicago, quando 25 studenti fra gli undici e i quindici anni furono rastrellati dalla polizia, ammanettati, stipati in un cellulare e denunciati per condotta dolosa per aver giocato a tirarsi del cibo addosso; o quando un bambino di sei anni, lupetto negli scout, è stato minacciato di essere rinchiuso in un riformatorio per aver portato un coltellino multiuso da campeggio nel suo cestino del pranzo. E in California una madre, avendo paura che lapidi e mostri di Halloween spaventassero il figlio, chiamò la polizia per denunciare i vicini segnalando il caso come un crimine d’odio.

Certo non possiamo pretendere che basti qualche anno per vincere tutte le battaglie, soprattutto quando scopriamo che certe situazioni che ai nostri occhi sembrano atrocità qualche tempo fa erano prassi. Probabilmente tra un secolo o molto molto meno pure la necessità di cose come il Ddl Zan sarà vista come una cosa ridicola, perché sarà scontato non essere omofobi, sarà naturale dire che siamo tutti uguali e che non ci dobbiamo insultare o menare se uno è bianco, nero, biondo, castano, ha i capelli rosa è gay o trans. Anche quando venne presentata una prima misura di divieto di maltrattare i cavalli, nel 1821, questa fu accolta con sdegno e risa. I parlamentari dissero con sarcasmo che così si sarebbe arrivati a proteggere addirittura cani e gatti, e così fu, e oggi siamo ben felici di questo. Forse, come scriveva Victor Hugo:

“Non c’è nulla di più potente di un’idea il cui tempo è venuto.”

La violenza non si potrà sradicare completamente dagli esseri umani perché, come scrive l’etologo e biologo Richard Dawkins, siamo macchine per la sopravvivenza disposte a tutto pur di andare avanti. Se attacchi puoi essere attaccato, è scritto nei nostri geni:

“Per una macchina per la sopravvivenza, un’altra macchina per la sopravvivenza (che non sia un suo figlio o un altro parente stretto) è una parte dell’ambiente, come una roccia, un fiume o un po’ di cibo. Differisce dalla roccia o da un fiume per un aspetto importante: che è portata a restituire i colpi.”

Certo, gli organismi usano la violenza solo quando serve, quando è strategica, quando i benefici superano i costi, soprattutto per quanto riguarda le specie intelligenti. Possiamo imparare a gestirla, domarla. E le cause sembrano essere sempre quelle individuate da Hobbes nel Leviatano: competizione, diffidenza, gloria. L’unica soluzione sembra essere la legge, che è sempre meglio della guerra, ma che non deve trasformarsi in dittatura, altrimenti siamo punto e a capo. La Rivoluzione dei diritti ha condotto a introdurre nelle culture occidentali eccessi di correttezza e tabù meritatamente messi in ridicolo sotto l’etichetta di “politicamente corretti”, ma, come scrive Pinker, i numeri mostrano che in molti casi essi hanno portato alla diminuzione di parecchie cause di morte e sofferenza, e reso la cultura sempre più refrattaria a ogni forma di violenza. Non dimentichiamoci però delle parole di Einstein:

“E  tuttavia  solo  l’individuo  libero  può  meditare  e  conseguentemente  creare nuovi  valori  sociali  e  stabilire  nuovi  valori  etici  attraverso  i  quali  la società  si perfeziona. Senza personalità creatrici capaci di  pensare  e  giudicare  liberamente,  lo sviluppo  della  società  in  senso  progressivo  è  altrettanto  poco immaginabile quanto lo  sviluppo  della  personalità  individuale  senza  l’ausilio  vivificatore della società. Una comunità sana è perciò legata tanto alla libertà degli individui quanto alla loro unione sociale”.

Non so come andrà a finire, non lo vedrò, morirò prima, ma inizio a pensare che la morte esista anche per questo, per andarcene quando il mondo inizia a cambiare troppo in fretta. Se le persone non morissero, i cambiamenti non avverrebbero mai. Le nuove generazioni hanno in mano il futuro e speriamo che sia un futuro libero, equilibrato, dove verranno rispettati i diritti di tutti con tolleranza e in modo pacifico. Pinker conclude il capitolo sulla Rivoluzione dei diritti dicendo che questo movimento sembra essere riuscito a imporsi proprio grazie a governi democratici, perché la democrazia consiste proprio in contratti sociali fra individui intesi a ridurre la violenza fra di loro, e in quanto tali contengono i germi di un’estensione a gruppi originariamente trascurati. Il merito è anche dell’informazione, che ha permesso di ampliare reti di reciprocità e di scambio:

“Se dovessi scommettere sulla più importante causa esogena delle Rivoluzioni dei diritti, punterei sulle tecnologie che hanno reso idee e persone sempre più mobili.”

Dobbiamo ringraziare anche televisione, radio, satelliti, telefoni, fax, internet, cellulari e oggi pure i tanto amati e odiati social. Ma anche autostrade, ferrovie, aerei, che hanno permesso alle persone d’incontrarsi e confrontarsi, e anche la scolarizzazione e la ricerca scientifica. Pinker scrive che spesso purtroppo le società lasciate a se stesse su un’isola o in zone remote e montagnose, sono non solo tecnologicamente arretrate ma anche moralmente.

“La Rivoluzione umanitaria emerse dalla Repubblica delle lettere, la Lunga pace e la Nuova pace furono figlie del villaggio globale. E ricordate «in che cosa ha sbagliato» il mondo islamico: forse nel rifiutare la stampa e opporre resistenza all’importanza di libri e delle idee che essi contengono. Perché una più ampia circolazione delle idee e una maggiore mobilità delle persone dovrebbero avere come risultato riforme che riducono la violenza? I percorsi sono diversi. Il più evidente sta nell’attacco che esse sferrano all’ignoranza e alla superstizione. Una popolazione istruita e in cui i contatti fra gli individui sono costanti è destinata, almeno nel suo complesso e nel lungo periodo, a liberarsi di credenze venefiche: quelle, per esempio, secondo cui i membri di altre razze ed etnie sono per natura avari e perfidi, le sventure economiche e militari sono dovute al tradimento di minoranze etniche, alle donne non dispiace essere violentate, per educare i bambini alla società bisogna picchiarli, l’omosessualità è una scelta all’interno di uno stile di vita moralmente degenerato e gli animali sono incapaci di provare dolore. La recente demistificazione di credenze che invitano alla violenza o la tollerano richiama alla mente l’osservazione di Voltaire: coloro che possono farvi credere assurdità, possono farvi commettere atrocità”.

La soluzione è sempre la non violenza, la giustizia, come ci insegnarono Martin Luther King e Ghandi. Non si picchia un gay, una donna, un bambino ma non si picchia nemmeno chi ha picchiato il gay, la donna o il bambino. Non si censura la storia perché ha tanto da insegnarci, non si buttano giù statue e non se ne erigono di nuove se queste nuove sono dedicate a chi le statue le ha buttate giù. Non si censurano libri, quadri e sculture, film musica e spettacoli teatrali. Si agisce con le leggi per salvaguardare la libertà di tutti. La violenza non è mai giustificata, che sia verbale o fisica. Stiamo già vivendo nel secolo della Lunga pace, non roviniamo tutto.

 

 

Articolo tratto da L’intellettuale dissidente

https://www.lintellettualedissidente.it/controcultura/societa/il-declino-della-violenza/

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